Partecipanti della 6a edizione
Titolo per titolo ecco chi concorre
Titolo per titolo ecco chi concorre
Racconti di enofanatismo di Cristiana Lauro, Pendragon
Chi ama leggere di vino conosce senz’altro Cristiana Lauro che dei piaceri della tavola ha fatto una professione con scritture soprattutto sul Sole 24 Ore e su Dagospia. A proposito del quale, non a caso questo librino è impreziosito da una introduzione di Roberto D’Agostino che del più dissacrante sito italiano di attualità è fondatore e anima. Wine not? È una raccolta di racconti, alcuni già pubblicati epperò rivisitati, di brillante grafia che si può interpretare come, per dirla con Pascal, un divertissement dell’autrice che magari si dovrebbe definire con certe nuove regole autora. E tra le righe e gli sberleffi qualche etichetta da osannare o da cestinare.
di Michele A. Fino, Mondadori
Michele Antonio Fino è professore associato di Fondamenti del diritto europeo all’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo e il ruolo s’avverte quasi in ogni pagina del libro. Perché Non me la bevo è soprattutto una meticolosa spiegazione, proprio da prof, di ciò che oggi è una bottiglia di vino, dal contenuto, cioè il vino, all’etichetta. Fino si mette in cattedra per contrastare tante idee, diffuse, radicate, sballate, che si hanno sul vino. Ci mette tanto di quell’impeto da contestare mostri sacri di ieri come Mario Soldati per la sua concezione di genuinità e Luigi Veronelli per l’idealizzazione che fece del vino contadino.
di Tommaso Caporale, Cinquesensi
E l’orecchio? L’orecchio era il grande assente nell’esame, nell’analisi delle bollicine. Era. Perché Tommaso Caporale supplisce alla carenza con questo libro nel quale insegna a valutare uno spumante grazie all’analisi acustica del perlage. Caporale, ingegnere informatico, giornalista enogastronomico e conduttore televisivo, tra un’attività e l’altra ha insomma inventato un nuovo modo di valutare gli spumanti, un metodo che si basa sull’udito. Caporale dà un voto alle bollicine valutandone le vibrazioni. E l’esito è quantomeno sorprendente.
a cura di Aldo Lorenzoni, Graspo
È solo in apparenza un libro ponderoso e di lettura molto esclusiva, riservata a pochi eletti, perché i protagonisti dovrebbero essere i vitigni, cento addirittura, raccontati, spiegati, analizzati, descritti, interpreti della straordinaria biodiversità viticola italiana. In realtà i protagonisti di questo libro un po’ monumentale sono i custodi, gente di terra, innamorata del mestiere che si è scelta. Ogni custode ha una storia da raccontare ed è uno splendore di storie che talvolta sanno di favola, rivelatrici di passione, di rivincita sul passato, come si può pensare per i vigneti recuperati dalla mafia
di Sergio Tazzer, Kellermann
I barbari erano proprio barbari e non si limitarono a decretare la fine dell’impero romano, lasciarono dappertutto rovine, non risparmiando neppure i filari di vite. Meno male che frati e monaci si diedero da fare perché le vigne potessero rinascere per poter continuare a creare vino. In qualche convento, e in quasi tutta Europa, l’antico rito di fare il vino è rimasto con risultati molto spesso di eccellenza. Sergio Tazzer ha censito e descritto le bottiglie che escono dai monasteri del vecchio continente. Un libro che suscita naturalmente simpatia per l’argomento e il brio nella scrittura. A proposito: ovunque l’autore è stato ben accolto e spesso ha anche ricevuto la benedizione. Solo in un caso ha ricevuto sgarbi: a Creta, pensa te…
di Valerio Bigano
Di libri ne ha scritti tanti Valerio Bigano e nelle trenta righe del ritratto dell’autore che appare nell’ultima di copertina il loro elenco ne prende più della metà. Bigano i libri se li scrive e se li pubblica. Uno scrittore-editore insomma a cui piace vagare tra vecchie e nuove glorie italiane. Il vermouth appartiene alle vecchie e Bigano che con la scrittura e la grafica ci sa fare ha avuto il coraggio di avventurarsi sullo smisurato palcoscenico di chi s’è cimentato nella produzione di un alcolico la cui ricetta è di una semplicità disarmante e che ha come ingrediente fondamentale l’assenzio, la pianta all’origine dell’omonimo leggendario e maledetto liquore che ha lo stesso nome. L’esito si legge in uno sfavillio di etichette di tutti, così si crede, i vermouth made in Italy. Bigano ha censito 376 case, piemontesi soprattutto, eppoi siciliane, venete, lombarde, emiliane.
di Daniele Cernilli con la collaborazione di Paolo De Cristofaro, Giunti
Il Gallo Nero, scritto proprio così, è il simbolo del Chianti classico, una docg che coinvolge la bellezza di, più o meno, seicento cantine che vogliono dire ogni anno da 35 a 38 milioni di bottiglie che finiscono in mezzo mondo, per la precisione in centosessanta paesi. Questo Gallo Nero è espressione di una leggenda, e magari non lo è, che risale al tredicesimo secolo. Ed è da qui che parte la storia, quasi un romanzo, del Chianti Classico, proposta con bella scrittura e fluidità di racconto da Daniele Cernilli e Paolo De Cristofaro, due grandi firme del giornalismo enologico che con questo titolo confermano la loro eccellenza incoronando nell’orgoglio italiano il Chianti classico.
di Antonio Calò e Angelo Costacurta, Kellermann
È un librino vedendo il formato e il numero di pagine, poco più di cento, un librone se si guarda al contenuto e, soprattutto, ai due autori. Già, perché Antonio Calò e Angelo Costacurta sono due grandi, anzi grandissimi, nomi della viticoltura e della letteratura conseguente con medaglieri, entrambi, che non temono confronti. E tutta la loro cultura sul vino la propongono raccontandone la storia che s’inizia in Georgia ottomila anni fa e insinuando nel percorso del tempo una pioggia di citazioni, di eventi, di aneddoti, di consigli e di suggerimenti. Un librino, insomma, prezioso e di agile consultazione.
di Ian D’Agata e Michele Longo
Ian D’Agata e Michele Longo sono due nomi ben noti a chi ama saperne di più del vino e insieme hanno già firmato altri testi uno dei quali ha conquistato anche un prestigioso premio internazionale. Con il loro ultimo titolo si sono impegnati in un viaggio che ha coinvolto tutta l’Italia per raccontare i terroir dai quali nascono i migliori vini italiani: un lavoro meticoloso che consente scoperte, che conferma la straordinaria vocazione italiana per i grandi vini e che permette di cogliere l’influenza del territorio, insomma il terroir, su un vitigno e infine sul vino che ne è figlio. In conclusione: un ponderoso volume di quattrocentocinquanta pagine e passa nel quale i due autori si permettono anche di suggerire, zona per zona, le cantine eccellenti. E qui le sorprese non mancano.
di Armando Castagno, Treccani
C’è modo e modo di raccontare una terra toccata dalla celebrità per i suoi vini e Castagno per dire della Franciacorta, un coriandolo del Bresciano diventato, in poco più di sessant’anni, magico per le sue bollicine, ha scelto il viaggio, paese per paese, vigneto per vigneto, narrato con minuzia e tocchi di lirismo o, come si diceva una volta, in punta di penna. Sfilano così in un susseguirsi di fotografie di paesaggi, scorci di villaggi e testimonianze del passato racconti di vigneti e cantine e ristoranti o trattorie che celebrano la Franciacorta e il Franciacorta.
di Angelo Peretti, Ampelos
Nel gran bailamme del giornalismo enogastronomico Angelo Peretti si distingue, al di là delle medaglie conquistate in Italia e oltre i confini, per una scrittura bella e mai strillata, per la fantasia, la capacità creativa. Tutte qualità, queste, che spiccano nella sua ultima fatica, un titolo soltanto in apparenza dedicato agli astemi che sono mica pochi, il quaranta per cento degli adulti, e che è un piccolo gioiello per l’ironia e la sapiente leggerezza: le ottanta pagine si leggono piacevolmente tutto d’un fiato.
di Francesco Annibali, Mimesis
Libro smilzo, poco più di cento pagine, però ponderoso per via del tema attorno al quale l’autore, già vincitore di un Premio Biblioteca Bruno Lunelli, danza con parole, paroloni, concetti, assiomi. Il succo, sentenzia l’autore, è che «la logica della degustazione è una logica non deduttiva né induttiva, più precisamente è una logica abduttiva, che procede per tentativi ed errori: una logica analoga a quella dei detective, dei medici e degli scienziati». E il libro, sentenzia ancora l’autore, è «di parecchia utilità a chiunque compia degustazioni sia in maniera professionale che ludica».
di Sergio Tazzer ed Enzo Michelet Kellermann
I vitigni sono giramondo come pochi e l’ennesima dimostrazione si svela in questa fatica letteraria a quattro mani di Sergio Tazzer ed Enzo Michelet, due che di vino ne sanno parecchio. Il vitigno giramondo che dà il titolo al libro ha i suoi natali in Stiria e da qui è arrivato nella Marca Trevigiana trovandovi l’ambiente ideale a tal punto da spingere il grande Veronelli a scrivere quanto segue: «Spianterei tutte, ma proprio tutte, le viti di Prosecco, Merlot, Cabernet e quant’altre e lascerei , per una sua mostruosa eccellenza, la vite del Wildbacher».
di Zeffiro Ciuffoletti e Paolo Storchi
Ancora verso la metà del diciannovesimo secolo il Chianti era boschi, piccoli borghi e castelli. Poche le coltivazioni di olivo e anche di vite, si creava, da tempo immemorabile, vino che godeva di buona fama e che, a seconda del colore, era chiamato vermiglio o trebbiano. Poca roba, comunque. Poi arrivò Bettino Ricasoli, barone che di finanze non stava troppo bene però gli riuscì di sposare una Bonaccorsi e le condizioni economiche cambiarono spingendolo oltre che alla politica alla viticoltura. Lui poi diventò, 1861, presidente del consiglio e il Chianti divenne il Chianti.
di Roberto Merlo, Leone Braggio, Elia Dalla Pozza, Giuseppe Mentore, Eleonora Rabassi, Elia Rancan, Uva sapiens
Gli autori fanno parte della squadra di Uva Sapiens, società di consulenza viticola ed enologica che, costituita più di dieci anni fa, ha sede a Farra di Soligo in provincia di Treviso e, quando occorre, anche casa editrice della quale questo libro è tra gli esempi. Libro, che è poi un manuale, nel quale vengono spiegate le più moderne tecniche di potatura del doppio capovolto e le regole che devono essere seguite. Il fine è quello di mantenere il flusso linfatico e il miglior stato sanitario della vite, con ovvi e naturali riflessi sulla sua longevità.
di Ivano Asperti e Luca Gonzato
PIWI è l’acronimo tedesco della voce Pilzwiderstandsfähige che letteralmente significa resistente al fungo. Oggi Piwi è voce entrata nel linguaggio internazionale di chi si occupa di vino ed è usata per identificare i vitigni resistenti, resistenti perché sono stati pensati e studiati per non cedere alle principali malattie fungine della vite, ovvero oidio e peronospora. I Piwi hanno anche ridotta sensibilità alla botrite, al marciume acido e nero, al freddo. Nel libro c’è tutto ma proprio tutto sui PIWI, storia, provenienza ed evoluzione raccontate da due bei nomi dell’enologia. Asperti ha vinto ex aequo la terza edizione del Premio